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giovedì 28 maggio 2009

Le pajare e loro recupero

Tipicità Salentine

Per "pajara" o "specchia" viene identificata una struttura edilizia elementare di tipo rurale, realizzata in pietra a secco senza altro materiale che non fosse la pietra cavata dalla stessa terra.
A differenza dell'edilizia convenzionale che utilizza materiali diversi e per ogni materiale un processo specifico di produzione che va dall'estrazione della materia prima al trasporto, trasformazione e applicazione e non ultimo lo smaltimento degli stessi a fine ciclo vitale, implicando in cio' un utilizzo rilevante di energia ed un alto impatto ambientale, nel processo produttivo delle pajare i tre luoghi di produzione, trasformazione e applicazione coincidono e i materiali edilizi sono ridotti ad uno solo la pietra.
I processi di estrazione, trasporto, trasformazione si riducono alla raccolta della pietra, recupero di materiale inerte che costituiva danno e ingombro e che non era utilizzabile altrimenti, determinando un recupero dell'area di lavoro per la miglioria del fondo.

Quindi le paiare oltre ad avere una forte connessione con le caratteristiche del suolo in cui l'uso del materiale avveniva senza mediazioni, in un rapporto diretto con l'ambiente, hanno rappresentato e rappresentano un modello costruttivo ad alta valenza ecologica in cui l'apporto energetico è minimo, quello dell'uomo, e l'impatto ambientale è zero.
Questa tipologia edilizia rispetta appieno i canoni previsti dalla bioedilizia. Nella maggior parte dei casi si tratta di autocostruzioni con funzione di ricovero di animali ed attrezzi, posizionate al confine di proprieta' o su pamnchine rocciose (chianche) per ridurre l'occupazione di suolo coltivabile.
I manufatti quasi sempre hanno un solo vano quadrato, rara la pianta circolare se non per vani di dimensioni ridotte. La forma utilizzata e' solitamente quella a torre tronco - conica o tronco - piramidale terrazzata e fiancheggiata da un cumulo anulare.
Rampe di scale permettono la salita sull'estradosso della copertura trattata con pietrisco, schegge di pietra e completata con terra battuta (bolo) quest'ultima con funzione di protezione da infiltrazioni d'acqua piovana e dal riscaldamento dal periodo estivo.

Il vano di accesso è coperto da un architrave in pietra sormontato da due blocchi a contrasto che formano un triangolo di scarico. queste strutture edilizie rappresentano l'elemento caratterizzante, insieme con i muretti a secco e gli alberi di ulivo, del paesaggio salentino. Sono un patrimonio storico-ambientale da tutelare e salvaguardare.
Oggi l'interesse per questi manufatti e' alto, purtroppo molti interventi di recpero hanno stravolto l'identità degli stessi con l'utilizzo di materiali impropri. Negli interventi di recupero - ristrutturazione vanno adottati i principi della bioarchitettura con l'utilizzo della tecnica cuci e scuci, l'uso di materiali prorpi del luogo come bolo, pietrame, coccio pesto.
Per il rifacimento interno dell'intonaco o del pavimento si puo' intervenire con unimpasto di paglia e bolo oppure con l'uso di calce idraulica naturale cotta a legna e stagionata almeno sei mesi impastata con bolo o cocciopesto. Lo stesso procedimento può essere adopreato per il rifacimento della finitura dell'estradosso (tivola).
Per quanto riguarda l'arredamento e gli infissi, nella parte interna vanno utilizzate come piccole credenze, le nicchie presenti, l'arredo deve rapprsentare l'essenziale con l'utilizzo di pietra e legno massello recuperato, e se nuovo, di provenienza nazionale.

Gli elementi di arredo vanno realizzati con la tecnica dell'incastro senza l'uso di colle viniliche e senza parti metalliche. Anche per gli infissi va usato legno recuperato o nazionale. Sia il legno che lapietra vanno trattati con olio e cera naturali. Per la dipintura della parte intonacata va usata solo latte di calce cotta a legna e stagionata almeno sei mesi con eventuale aggiunta di terre per ottenere effetti colorati tipo pastello.
Solo con l'utilizzo di materiali naturali e l'applicazione dei principi della bioedilizia si puo' garantire una risposta adeguata alla tipologia costruttiva delle pajare, rispettando quegli elementi che erano alla base dei stessi manufatti, integrazione con il territorio e l'ambiente in modo tale che i materiali utilizzati alla fine del loro ciclo vitale possano ritornare nel sistema produttivo senza minimamente incidere sull'impatto ambientale.

domenica 17 maggio 2009

L'eccidio dimenticato dalla storia

Otranto ha vissuto nel 1480 uno degli eventi più drammatici della sua storia: la presa della città da parte dell’esercito Turco con il successivo martirio di 800 suoi cittadini.

La storiografia moderna ha inspiegabilmente ignorato gli eventi del 1480 o l’ha relegati al livello di semplici scaramucce piratesche. In realtà ad Otranto si è consumato uno degli scontri ed eccidi religiosi più cruenti che la storia ricordi e lo stesso disegno che aveva portato l’impero Turco alla presa della città era tutt’altro che una piccola angheria ma rientrava in un più vasto disegno di conquista della penisola e della sede del Papato.

L’impero Turco, sotto la guida del sultano Maometto II Fatih (il conquistatore) si era mosso alla conquista dell’Impero Bizantino provocandone, dopo più di 1000 anni di storia, la definitiva caduta nel 1453. L’avvenimento aveva suscitato profondo scalpore e sconcerto negli ambienti diplomatici europei e nella sede del papato in particolare. Infatti era venuto meno l’ultimo baluardo cristiano in oriente ed ora il pericolo musulmano veniva sentito molto più vicino.

Lo stesso sultano Maometto II non nascose mai propri propositi di espansione che lo avrebbero voluto conquistatore dell’occidente con il segreto sogno di portare i propri cavalli in Vaticano. Per raggiungere il suo scopo attuò una manovra a tenaglia: da un lato risalì lungo la penisola balcanica fino a giungere ad insidiare prima i possedimenti di Venezia poi la città vera e propria, e dall’altro partendo dal mediterraneo attraverso l’Egeo per giungere quindi in Italia attraverso la Puglia.

Il turco ingaggiò una lunga guerra con la Repubblica della Serenissima che iniziata nel 1463 si protrasse sino al 1478 allorquando Venezia dopo ripetute sconfitte, dovette cedere nuovamente militarmente nei pressi di Udine e vedendo minacciare la propria indipendenza fu costretta alla pace.

Il turco si concentrò quindi sulla seconda direttrice della tenaglia, sul versante meridionale progettando uno sbarco nel territorio pugliese. Nella primavera del 1480 cominciò ad ammassare nel porto di Valona, a soli 70 km da Otranto, una grande quantità di uomini e navi. La scelta del periodo per l’attacco non fu casuale. Infatti il contesto politico in Italia era dominato dalle continue guerre tra i vari principi. In particolare il Re di Napoli Ferdinando d’Aragona aveva portato in quel momento il proprio esercito in Toscana ponendo sotto assedio la città di Siena e lasciando militarmente sguarnita la parte orientale del proprio regno.

Venezia, stretta alleata di Firenze, malgrado le sconfitte subite ad opera dei turchi continuava ad avere il predominio sul mare e nessuno sbarco in Italia poteva avvenire senza la sua accondiscenza. Tutto l’Adriatico poteva dirsi come una specie di Golfo di Venezia e la linea Otranto – Valona ne veniva a costituire il limite meridionale.

Seguendo una sapiente opera diplomatica i turchi seppero avere il placet Veneziano ad uno sbarco in Puglia. In questo modo i veneti speravano di distogliere il Re di Napoli dalle operazioni belliche contro Firenze. Una politica di così corto respiro contrastava con le tradizioni diplomatiche Veneziane; al nemico Napoletano infatti si sarebbe venuto a sostituire con uno più grande e molto più temibile: quello Turco islamico. Ma a prevalere fu il forte risentimento nutrito contro Ferdinando I d’Aragona testimoniato, tra l’altro, anche da un passo di Nicolò Machiavelli che ricordando gli eventi scrive «Ma Iddio fece nascere un accidente insperato, il quale dette al Re e al Papa maggiori pen­sieri che quelli di Toscana».

Le operazioni militari nel porto di Valona non passarono inosservate ma i Turchi le seppero camuffare e depistare facendo prima credere che l’obiettivo fosse Rodi o Ragusa, poi sciogliendo le truppe mascherandone così un abbandono dell’operazione. Lo stesso Re di Napoli sottovalutò il pericolo preferendo concentrare le proprie truppe in Toscana e lasciando a presidio della città di Otranto soli 400 soldati ed il comando a due capitani Francesco Zurlo e Giovanni Antonio Delli Falconi.

La mattina del 28 luglio del 1480 una vista terrificante si presentò all’orizzonte di Otranto: una flotta di 150 navi con 18.000 uomini a bordo si muoveva verso la città. La mole delle truppe che Maometto II riuscì a coinvolgere è da ritenersi di tutto rispetto specie in considerazione delle numerose altre operazioni belliche che il sultano aveva in corso. Tutto ciò da il segno del valore attribuito dal sultano all’operazione. Anche la meta, Otranto, fu scelta accuratamente sebbene alcuni storici ritengono che la destinazione originaria fosse Brindisi poi cambiata all’ultimo momento a causa di venti contrari.

Molti autori ritengono invece che il vero obiettivo fosse proprio Otranto in quanto meno difesa e dall’esercito e dalle proprie mura, meno raggiungibile da eventuali rinforzi da Napoli oltre che per la considerazione che pare poco verosimile l’ipotesi di venti contrari, sia per il periodo, sia per il fatto che la flotta giunse in maniera compatta a Otranto e non dispersa per difficoltà meteomarine.

Le truppe sbarcarono a nord di Otranto in una zona chiamata Frassanito (anche una spiaggia ha poi preso il nome in ricordo dell’evento: Baia dei Turchi) e subito si diedero al saccheggio dei Casali circostanti creandosi una zona di sicurezza. Mossero quindi verso la città ove fecero razzia del borgo poco fuori le mura.

Secondo alcuni autori Otranto all’epoca contava 22.000 abitanti ma altre fonti più accreditate parlano invece di 6.000 Otrantini. La città era dedita all’agricoltura e ad alla pesca ed in parte ai traffici che passavano per il porto.

I tempi dei fasti legati alla seconda dominazione Bizantina erano ormai passati. Otranto infatti era stata per secoli un vivace centro economico e culturale oltre che il fiore all’occhiello del militarismo di Bisanzio. Nella città e nelle campagne rifiorirono infatti le arti e le lettere ed il principale centro di irradiazione culturale fu il Monastero Basiliano di San Nicola di Casole che costituiva una vera e propria università fornita di una biblioteca vastissima, la più grande del mezzogiorno, ed uno scriptorium per la copiatura dei testi in greco e latino. La caduta dell’Impero Bizantino aveva fatto passare Otranto improvvisamente da centro e ponte con l’oriente ad estrema periferia d’Europa.

Al comando delle truppe turche vi era Achmet Pascià già noto per la sua crudeltà ed efferatezza. Mandò un emissario chiedendo la resa della città ponendo condizioni piuttosto vantaggiose. Il consiglio dei vecchi rifiutò le richieste turche e mandò un emissario al Re di Napoli per informarlo sul pericolo incombente sulla città e sul suo Regno chiedendo un pronto intervento che invece non arriverà mai.

All’incalzare degli eventi molti dei soldati posti a presidio della città si calarono nottetempo con funi dalle mura cittadine, e si diedero a precipitosa fuga. A difendere Otranto rimasero quindi solo i suoi abitanti, per lo più contadini e pescatori che poco o nulla conoscevano dell’arte della guerra ma che avevano in cuore un orgoglio ed un coraggio che il turco non riuscirà mai a domare.

Achmet Pascià ordinò l’assedio e fece catapultare all’interno della città una mole enorme di palle di granito che pur arrecando notevoli danni alla struttura della città non scalfirono la resistenza Otrantina. Ancor oggi camminando per i vicoli del centro storico non è difficile incontrare queste bombarde spesso poste ad ornamento di ingressi e portoni.

Dopo due settimane l’esercito turco riuscì ad aprire tra le mura un varco da cui penetrò. Gli otrantini riuscirono però a respingerli ricacciando fuori la città l’invasore. Nulla poterono invece al secondo tentativo turco. L’esercito riuscì a dilagare per la città compiendo atti di grande efferatezza e crudeltà. La spada turca passava chiunque incontrasse per la strada, neanche vecchi, donne e bambini furono risparmiati. Le vie erano colme di cadaveri e ovunque scorrevano rivoli di sangue. Alcuni cittadini cercarono rifugio tra le mura della cattedrale ove l’anziano arcivescovo Stefano Pendinelli era intento a celebrare la messa. Il portone della cattedrale crollò sotto l’impeto turco ed anche qui vi compì una strage. All’invito turco fatto all’arcivescovo a presentarsi così rispose: "sono il pa­store a cui indegnamente è affidato questo popolo di Cristo". A questa frase seguì un colpo di scimitarra con la quale gli fu mozzata la testa.

Solo a questo punto sembrò che le violenze si dovessero placare. Ma in realtà i pochi cittadini rimasti dovevano subire ancora un ulteriore crudeltà. La mattina del 14 agosto Achmet Pascià ordinò che tutti i maschi dai 15 anni in poi fossero accompagnati sul colle della Minerva poco fuori la città. Qui vi giunsero in 800 e fu chiesto loro di abbondare il credo cattolico e di abbracciare il Corano per avere salva la vita. A nome degli ottocento parlò Antonio Pezzulla il quale disse “se fino ad oggi abbiamo lottato per la nostra patria ora dinanzi ci resta di lottare per la nostra fede cristiana” (Per difension della padria... e per Christo nostro Signore). Un coro di consenso si levò dagli ottocento.

Achmet ordinò la decapitazione ed il primo fu proprio da Antonio Pezzulla che da allora fu ricordato come il “Primaldo”. I racconti dell’epoca vogliono che il busto del Primaldo pur privo di testa non ne volle sapere di andare giù malgrado i maldestri tentativi dei soldati turchi. Il corpo cadde da solo quando l’ultimo sacrificio otrantino fù compiuto.

Girava tra gli ottocento, poco prima della decapitazione, un interprete turco che con in mano il corano tentava per l’ultima volta l’otrantino all’apostasia per avere salva la vita. Così dice il Laggetto “un Turco andava intorno alli Christiani li quali andavano legati, con una tavoletta in mano descritta con certi caratteri turcheschi; e per l'iniquo interpetre si diceva: chi vuol credere qua, li sarà fatta salva la vita, altrimente sarà ucciso»". Ma nessuno degli ottocento cedette alla tentazione ma anzi giunse con serenità al momento del sacrificio. Alcune fonti parlano di volti dei martiri con un sorriso contenti per il sacrificio offerto al Dio Cristiano.

Achmet dopo le prime decapitazioni offrì agli Otrantini di avere salva la vita mantenendo la propria fede pagando 20 sesterzi una cifra tutto sommato accettabile ma solo in 20 accettarono.

Papa Sisto IV impressionato dagli avvenimenti in Puglia faceva pressioni sui principi italiani affinché si coalizzassero contro il pericolo Turco ed organizzassero un esercito di liberazione di Otranto. A tal proposito emanò nel settembre una bolla “Non solum Italiane” e cercò attraverso nuove tasse di finanziare l’operazione militare. Ma i principi tergiversavano ed i turchi aveva tempi per mettere mano al sistema difensivo di Otranto potenziandolo. Inoltre continuarono con i saccheggi giungendo ad assediare città come Lecce, Nardò spingendosi con più spedizioni sino alla zona Garganica. La cattedrale della città fu adibita a stalla per i cavalli mentre il glorioso Monastero di San Nicola di Casole fu distrutto, i monaci basiliani uccisi ed i preziosissimi testi bruciati.

Nel frattempo Maometto II sapute le crudeltà commesse dal Pascià lo richiamò in patria ove fu rinchiuso in galera e dopo qualche anno vi trovò la morte.

Intanto gli stati italiani riuscivano ad unirsi, senza però l’appoggio di Venezia ed organizzarono un esercito di liberazione con al comando il duca di Alfonso d’Aragona figlio di Ferdinando Re di Napoli. Giunto nel Salento nella primavera del 1481 si accampò nel Castello di Roca a pochi km a nord di Otranto. I turchi di sovente inviavano spie per controllare le operazioni degli avversari.

Ma nel frattempo una improvvisa notizia irruppe nello scenario: Maometto II era morto ed in Turchia era scoppiata la guerra civile tra i figli del sultano per la successione. La notizia fu presa con un grosso respiro di sollievo da tutte le corti Europee e dal Vaticano, le campane risuonarono a festa un po’ ovunque.

Pare che in Anatolia Maometto II, prima della morte, avesse raccolto uno sterminato esercito di 300.000 uomini col quale aveva in programma di muoversi alla conquista dell’Italia utilizzando proprio Otranto come punto di partenza e realizzare il proposito di islamizzare l’occidente.

Le truppe turche a Otranto rimasero quindi isolate e questo fu il momento utilizzato da Alfonso d’Aragona per cingere d’assedio la città e liberarla dall’invasore. I turchi in realtà opposero scarsa resistenza e accettarono di imbarcarsi per la madre patria. Circa un migliaio rimasero nel salento e furono posti al servizio del Duca Napoletano.

Otranto fu quindi liberata ma dei suoi abitanti ne rimasero ben pochi. Il duca ordinò portare in città i resti degli ottocento ancora posti sul colle della Minerva. La leggenda vuole che i corpi furono ritrovati miracolosamente incorrotti. I resti sono tutt’oggi custoditi in tre grandi teche nella cripta posta nella navata destra della cattedrale. Un‘altra parte è custodita nella chiesa di Santa Caterina in Formello a Napoli.

Alfonso D’Aragona attraverso il grande esperto di architettura militare Ciro Ciri fece rifare il sistema difensivo di Otranto erigendo le poderose mura che ancor oggi si ammirano. Le due torri che danno accesso alla città portano il suo nome ed una terza venne chiamata DUCHESCA probabilmente in onore a sua moglie.

Otranto dovette subire nei secoli a venire nuovi assalti turchi ma anche grazie alle nuove difese gli attacchi verranno sempre respinti.

Una moderna rilettura dei fatti del XV fanno comprendere come il sacrificio degli Otrantini abbia salvato le sorti dell’Italia. Le difficoltà opposte all’esercito turco ne fecero rallentare pesantemente le operazioni militari consentendo alle altre città del Salento in primis Lecce e Brindisi di prepararsi alla propria difesa e di reggere ai successivi assalti turchi.

La storia odierna deve molto al sacrificio degli 800 martiri.

*** Fonte: Otranto Point ***

martedì 5 maggio 2009

La Storia di Otranto.

Otranto

nella sua storia millenaria ha sempre risentito della sua proiezione ad Oriente. La citta' rappresenta il lembo piu' ad est d'Italia.

Le origini

Gli scavi effettuati nella città dei martiri hanno consentito di rilevare la presenza di ceramica ad impasto associata a vasi micenei in un periodo compreso tra l'eta' del bronzo recente a quella del bronzo finale (XIII - XI secolo A.C.). La citta' quindi conserva una delle piu' precoci testimonianze di rapporti con le popolazioni dell'area egea. Tracce di insediamenti in questo periodo sono state rinvenute in via Faccolli, in prossimita' della chiesetta bizantina di San Pietro, in via delle Torri, nell'insenatura del porto, zone relativamente distanti che lasciano pensare ad uno sviluppo piu' esteso rispetto al periodo medievale. La citta' e' stata l'approdo di importanti centri messapici come Muro e Vaste.

Otranto Romana

Nel 151 A.C. la citta' (Hydruntum) diventera' municipio romano e a lungo contese a Brindisi il ruolo di porto principale verso la Grecia. Tra le testimonianze piu' importanti dell'epoca romana ritroviamo le due basi marmoree con epigrafe latine che ricordano gli imperatori M. Aurelio Antonino e L. Aurelio Vero (II secolo D.C.).

Nel 162 D.C. Otranto ottenne di battere moneta propria. La citta' conosce un consolidamento della religione cristiana favorita sia dagli intensi contatti tra Roma e Costantinopoli che trovano in Otranto un importante raccordo sia dalla presenza di una rilevante comunita' ebraica. Tale comunita', dedita al commercio, rimarra' sempre particolarmente numerosa tanto che documenti dell'epoca medievale ne attestano una consistenza numerica pari a 500 unita'.

Otranto Bizantina

Una realta' cosi' cristianizzata viene testimoniata anche dal racconto di San Paolino di Bordeaux vescovo di Nola che in un carme evochera' il viaggio ad Oriente di un pellegrino eccellente Niceta di Remesiana imbarcato ad Otranto ove trovo' una grande comunita' monastica con schiere di vergini frati e suore, che inneggera' al passaggio del santo evangelizzatore dei Balcani.

Le comunita' monastiche evocate da San Paolino erano attestate nelle numerose cellette che ancora oggi si aprono sulle pareti rocciose della valle delle memorie. Con la divisione dell'Impero Romano in Occidente ed Oriente, Costantinopoli insediera' ad Otranto i suoi funzionari ed il ruolo della citta' crescera' al punto che Japigia, Messapia, Salento e Calabria prenderanno il nome di Terra d'Otranto.

L'arteria viaria Taranto, Oria, Lecce, Otranto esclude Brindisi ed il suo porto dai traffici con l'Oriente. Questo nuovo asse fa di Otranto il caposaldo delle dominazioni bizantine in Italia meridionale.

La citta’ fu dotata di un’eccezionale cinta fortificata ritmata. Nel IX e X secolo tutto il meridione dovette convivere con le incursioni saracene provenienti dall’Africa. Nell’838 D.C. Brindisi fu presa dai berberi e i suoi abitanti in parte furono uccisi ed in parte furono fatti schiavi e portati nel Nord Africa.

Nell’840 tocco’ a Taranto. I saraceni si insediarono nella citta’ e vi rimasero per decenni. Stessa sorte toccò a Bari e ad alla Sicilia. Solo Otranto era nelle condizioni militari e difensive di resistere agli attacchi. Le sue poderose mura, infatti, avevano retto bene ai vari assalti. Per Bisanzio la Terra d’Otranto veniva considerata una zona di estrema periferia dell’Occidente Imperiale. Solo Otranto rimaneva un fiore all’occhiello del militarismo bizantino.

Nel periodo a cavallo dell’anno mille l’impero viveva un periodo di decadenza, ma paradossalmente questo fu il momento ove le citta’ meglio godettero della cultura Bizantina sia sul piano civile, che culturale, giuridico e religioso. Otranto rimaneva il centro di irradiazione di questa cultura e tale fu per secoli. Nel secolo IX D.C. ha inizio la seconda dominazione Bizantina che vede Otranto nel periodo di massimo prestigio.

Difatti l’imperatore Niceforo Foca la volle metropoli con cinque suffraganee (Acerenza, Tursi, Gravina, Matera e Tricarico). In questo periodo nelle chiese e’ in uso il rito greco e nel X secolo D.C. viene eretta la chiesa di san Pietro con l’altare rivolto ad Oriente. Alla fine dell’XI secolo D.C. nasce fuori della citta’ l’abbazia di San Nicola di Casole, che diverra’ il piu’ ricco monastero dell’Italia meridionale. Dalla sua ricchissima biblioteca uscirono molti testi che attestavano il profondo legame con l’Oriente.

La parentesi Normanna

Sul finire dell’XI secolo i Bizantini abbandonarono la Puglia ed Otranto a favore dei Normanni. Nel 1088 viene consacrata la maestosa cattedrale che nel secolo successivo il monaco greco Pantaleone ornera’ con un grandioso mosaico pavimentale sintesi geniale della tradizione culturale occidentale ed orientale.

Il sacco di Otranto

Nel XV secolo ha luogo l’avvenimento piu’ drammatico della storia di Otranto.

I turchi che gia’ nell’845 avevano occupato Otranto poi liberata nel 867 da Ludovico II ne ripeterono il tentativo, ma senza successo, nel 918, 924 e 928. Nel 1480 con una flotta comandata da Acmet Pascia’ si ripresentarono minacciosi alle soglie della città riuscendo finalmente ad occuparla.

Le mire espansionistiche di Maometto II che gia’ avevano provocato la fine di Costantinopoli e del suo Impero vedevano in Otranto e nel Salento il primo caposaldo da cui insediare gli Stati Cristiani d’Europa. Il 28 luglio 1480 circa 150 imbarcazioni sbarcarono nella zona dei laghi Alimini (poi denominata Baia dei Turchi) e circa 18.000 soldati si diressero verso la citta’. Gia’ il giorno dopo fecero razzie nel borgo e nei casali.

L’11 agosto dopo un’eroica resistenza l’artiglieria turca apri un varco tra le mura e l’esercito dilagò all'interno della città. Furono commesse razzie di ogni genere e l’arcivescovo della citta’ Stefano Agricoli che incitava alla fede e alla morte fu ucciso all'interno della cattedrale.

Il 12 agosto 1480 circa 800 Otrantini capeggiati da Antonio Pezzulla, detto il Primaldo, rifiutarono la conversione all’Islam. Furono legati, e condotti con una macabra processione al Colle della Minerva. Qui furono decapitati davanti agli sguardi sgomenti di mogli, padri, figli e parenti tutti. Il primo ad essere giustiziato fu proprio Primaldo. Quel colle oggi viene chiamato Colle dei Martiri.

Dopo un lungo tergiversare da parte degli Angioini nel 1481 finalmente si organizzo’ un consistente assedio che sfocio’ il 23 agosto dello stesso anno ad un violento attacco ed il 10 settembre alla resa finale dell'occupante turco. La citta’ rimase completamente distrutta e deserta cosi’ pure il monastero di San Nicola di Casole.

Quel che resto’ dei corpi degli 800 martiri che erano rimasti ancora sul Colle della Minerva furono presi dei cittadini e portati nella citta’. Oggi i loro resti, sono conservati nella Cattedrale della citta’ contenuti in tre grandi armadi e visibili grazie alla presenza di vetrate. Un'altra parte dei resti e’ conservata nella chiesa di Santa Caterina a Napoli.

Per maggiori Info sugli 800 Martiri di Otranto clicca qui

La lenta ripresa della città dopo l'occupazione turca

Negli anni a seguire la cinta muraria fu ricostruita seguendo moderni criteri difensivi. Anche il Castello fu rivisitato nella sua struttura. Qui particolarmente significativa fu l’aggiunta apportata dagli Angioini di una struttura a punta di diamante che si sviluppa verso il mare e che aveva lo scopo di dare una maggiore protezione alla citta’.

Otranto tento' di riprendersi dall’evento puntando soprattutto ai traffici ed ai commerci che passavano per il porto. I turchi tentano nuovi assalti nel 1535, 1537, 1614 e 1644 ma la citta’ riuscira’ sempre a resistere.

Otranto, per la sua posizione geografica, attirava le mire di molti conquistatori. Infatti, dopo essere stata ripresa nel 1481 dagli Aragonesi, restò in loro mani per breve tempo: dal 1496 al 1504 passa a Venezia quindi nuovamente agli Angioini. Quindi fu occupata dai francesi ma la costante minaccia dei turchi impedì alla città di risorgere all'antico splendore e così la sua importanza andò sempre diminuendo, mentre buona parte della popolazione migrava verso luoghi più accoglienti.

Maria Corti

Ci piace chiudere questo breve escursus sulla storia millennaria di Otranto riportando una breve citazione di Maria Corti ripresa da un suo celebre libro su Otranto:

""C’era vento nelle strade e vuoto invernale quando rividi la Signora … aveva natura di gran dama decaduta dalla memoria implacabile. Senza più guardarla infilai il vicolo del Cenobio basiliano, camminai lungo il castello appena restaurato, lungo il porto fino al rudere della torre del serpe, dove c’era un altro tipo di silenzio, assoluto, dilatato all’infinito, da terra lunare.""

*** Fonte: Otranto Point ***

martedì 30 settembre 2008

La Cattedrale

Realizzata nel periodo di dominazione normanna, tra il 1080 ed il 1088, la Cattedrale di Otranto dalle dimensioni di 54 metri di lunghezza per 25 metri di larghezza è la piu' grande chiesa di Puglia.

Di stile romanico, la cattedrale raccoglie nella sua struttura elementi normanni, arabi e greci rispecchiando la funzione di “ponte” tra le diverse culture che Otranto ha avuto nei secoli.

La facciata mostra chiaramente lo stile del romanico, il rosone di forma circolare con 16 transenne convergenti al centro risente dei canoni dell’arte gotico-araba. Il portale, di gusto barocco, venne aggiunto nel 1674 e si compone di due mezze colonne scanalate che sorreggono lo stemma dell'arcivescovo Gabriele Adarzo di Santander retto da due angeli. Un altro portale minore risulta costruito sul lato sinistro della basilica costruito da Nicolò Fernando su ordine dell'arcivescovo Serafino da Squillace che fece scolpire la propria figura sulla struttura.

L’edificio al suo interno risulta composto da tre navate suddivise da due file di colonne per un totale di quattordici, di granio levigato ed ornate da capitelli del XII secolo.

Le navate terminano tutte con un abside proporzionato alla loro larghezza.

Il soffitto della navata centrale è a cassettoni in legno dorato su fondi bianco e nero e risale alla fine del XVII secolo commissionato da Franceso Maria de Aste. I dipinti sparsi per tutta la Chiesa sono un'importante testimonianza dei Bizantini.

Nel presbitero è presente l'altare maggiore con il paliotto in argento che riporta la raffigurazione dell'Annunciazione.

L'elemento piu' interessante e' il mosaico pavimentale eseguito tra il 1163 ed il 1165 dal monaco Presbitero Pantaleone proveniente dal vicino monastero bizantino di San Nicola di Casole.

Nella navata di sinistra si può ammirare l'affresco della Pentecoste insieme al battistero di stile barocco. Vicino al battistero è presente il mausoleo di F. Maria de Aste e la tomba del teatino napoletano Gaetano Cosso.

La navata di destra termina in una cappella con una sagrestia, ove sono conservati, in sette altissimi armadi, parte dei resti ossei degli ottocento martiri uccisi dai turchi nell’invasione del 1480 per non aver voluto convertirsi alla fede islamica. Un'altra parte dei resti è conservata nella chiesa di Santa Caterina a Napoli. Dietro l'altare della cappella e' conservato il "sasso del martirio" sul quale 800 Otrantini vennero decapitati.

Nella parte sottostante la Basilica c'e' una cripta di pregevole fattura risalente al XI secolo. Ha forma semianulare con tre absidi sporgenti, cinque navate e sessantotto colonne monolitiche di marmo grezzo e levigato collegato da volte a crociera. Le colonne presentano capitelli in diversi stili tra i quali il dorico, il dorico-romanico, il corinzio lo ionico.

Il rosone risulta inserito successivamente, probabilmente in epoca rinascimentale.

*** Fonte: Otranto Point ***

Per maggiori Info sulla Cattedrale di Otranto clicca qui

Il Mosaico della Cattedrale

All'interno della Cattedrale dell'Annunziata, denominazione con la quale viene identificata Cattedrale di Otranto, posizionata sulla linea in cui il sole lega l'est con l'ovest si dipana un maestoso mosaico pavimentale incellato dal monaco Pantaleone, proveniente dal vicino monastero di San Nicola di Casole, nel XII secolo D.C. espressione della cultura latina che i Normanni introducono in Otranto ma ancora profondamente legata all’Oriente.

Prima di analizzare il mosaico è importante contestualizzarlo. Otranto, infatti, in quest'epoca ma non soltanto, risulta una linea di ponte posta tra di due grandi poteri dell'epoca ovvero l'Impero Bizantino e il Papato di Roma.

Su di esso sono stati condotti ricerche da numerosi studiosi tra i quali citiamo Gianfreda , Willemsen e Settis-Frugoni.

Il pavimento musivo che copre circa 600 metri quadri di superficie, fu commissionato dal primo arcivescovo latino della città, Gionata, e fu eseguito da un monaco greco proveniente dal vicino monastero di San Nicola di Casole, Pantaleone che vi si adoperò per due anni.

Il mosaico risulta una mirabile sintesi di diverse culture quali quella pagana (attraverso i segni zodiacali), quella cristiana (con le scene bibliche), quella occidentale (attraverso le figure di cicli cavallereschi come Re Artù, Carlo Magno), ed infiine quella orientale.

Sono presenti tre iscrizioni:
- una risulta posta ai piedi dell'altare maggiore e recita: "Anno ab Incarnatione Domini Nostri Iesu Christi MCLXIII Indictione XI Regnante Feliciter Domino Nostro Willelmo Rege Magnifico et Triumphatore Humilis Servus Christi Jonatas";
- una seconda è posta a metà della navata centrale e recita: "Anno ab Incarnatione Domini Nostri Iesu Christi MCLXV Inditione XIII Regnante Domino Nostro Willelmo Rege Magnifico Humilis Servus Iesu Christi Jonatas Idruntinus Archiepiscopus iussit hoc opus fieri per manus Pantaleonis Presbiteri";
- infin l'ultima è posta all'ingresso della Cattedrale e porta la seguente iscrizione: "Ex Jonathas Donis per dexteram Pantaleonis hoc opus insigne est superans impendia digne".

Il mosaico, il cui tema dominante è l'Albero della Vita, si sviluppa altissimo sulla navata centrale dall'ingresso al presbitero, e si ripete in forma più ridotta, nelle navate del transetto.

'visione

Autentico poema in tre cantiche:

1. Dio nel mondo nella navata centrale,

2. Dio redime il mondo nella navata destra,

3. Dio giudica il mondo nella navata sinistra,

il Mosaico racconta la storia dell'uomo, da Adamo ed Eva al 1165, senza discriminazione di colore di pelle, di credi politici e religiosi.

Modellato sulla storia della salvezza il Tessellatum è come una monografia illustrata del mondo di allora, vale a dire, l'Eurasia, dal Baltico alle sponde mediterranee dell'Africa e dell'Asia, dagli Urali all'Atlantico, una storia raccontata con linguaggio allegorico-simbolico, con figure bibliche, storiche, patristiche, mitologiche, zoomorfe e fitomorfe.

Autentico poema in tre cantiche: Creazione, Redenzione e Resurrezione, il "Mosaico" di Otranto è unico per i suoi contenuti.

Paantaleone sviluppa col suo mosaico un arte suggestiva fatta di figure stilizzate, grottesche nello sguardo sbarrato, nei movimenti del corpo disarticolati, concitati.

Alcuni studiosi tra i quali Gianfreda parlano di sorprendenti analogie tra il mosaico e la Divina Commedia dantesca.

*** Fonte: Otranto Point ***

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La chiesa bizantina di San Pietro

chiesa di San Pietro a Otranto

E' uno dei monumenti del genere piu' importanti in Italia. La Chiesa risale al IX secolo D.C..

I caratteri che ne evidenziano la natura greco-bizantina, sono la pianta a croce greca e la cupola centrale supportata da piccole monofore lucifere.

All'esterno ha pianta quadrata e tre absidi semicircolari munite di luci, elementi questi che ne evidenziano la natura greco-bizantina. L''interno e' a forma di croce greca con tre absidi semicircolari e otto colonne, di cui quattro con capitelli a pulvino sostengono la cupola monolitica centrale, e le altre quattro sono seminglobate nelle pareti. Nelle absidi sono presenti due altari di cui uno dedicato a San Petro e risalente al 1481.

Tutte le pareti della Chiesa sono adorne di affreschi, tutti di pregevole fattura.

interno della cripta di San Pietro - Affresco

Sulla cupola dell'altare campeggia l'Annunciazione, segue Maria Madre di Cristo. A destra della cupola sono raffigurati gli Apostoli mentre a sinistra la Resurrezione.

Nell'abside sinistra in alto si leggono la Lavanda dei piedi e l'Ultima cena, in basso la Vergine, San Nicola e San Francesco di Paola.

Sui pennacchi della navata centrale sono rimasti due Evangelisti. Alla sinistra della navata c'e' "Il peccato originale", alla destra il Battesimo di Gesu' con le tre Marie e Satana che si tormenta.

Le pareti ospitano le figure di San Basilio, San Leonardo, Santa Lucia ed altro ancora. La Chiesa greca di San Pietro e' come un libro di devozione, un autentico gioiello di arte.

particolare dell'affresco, la lavanda dei piedi

Gli affreschi tutti con caratteri bizantineggianti, non mancano rimanipolazioni o sovrapposizioni più tarde, anche cinquecentesche, di carattere latino-romano.

*** Fonte: Otranto Point ***

I Laghi Alimini

Laghi Alimini

E' una zona umida posta a circa 4 km da Otranto e raggiungibile percorrendo la litoranea che dalla città idruntina porta verso Torre dell'Orso.

Si compone di due laghi, Fontanelle (anche detto Alimini piccolo) e Alimini Grande. Il primo è un lago di acqua dolce di origine carsica e alimentato dalle precipitazioni meteoriche e da diverse sorgenti dette appunto Fontanelle.

Una delle più importanti è quella che sgorga in località "Lamiune" che riceve le acque dal "Canale du Riu", un avvallamento di origine carsica che parte da Martano e termina nella conca di Alimini Piccolo.

Il lago non supera mai i due metri di profondità e ciò porta ad una forte crescita della vegetazione all'interno del lago nei periodi di siccità.

Fontanelle è collegato ad Alimini Grande attraverso un canale che, tra l'altro, lo va ad alimentare con le sue acque dolci.

Alimini Grande, infatti è un lago di origine lagunare direttamente collegato col mare attraverso una foce, regolata da chiuse, larga una ventina di metri, e dal quale riceve acqua salata in condizioni di alta marea e viceversa nel quale riversa acqua salmastra nella fase di bassa marea.

In passato probabilmente l'area risultava aperta ed era parte integrante della costa. Col tempo dei cordoli di sabbia lo hanno separato dal mare fino a renderlo un bacino a sè stante.

L'area è occupata da una vasta pineta di pini d'Aleppo piantati dal Corpo Forestale dello Stato negli anni '60. Sono presenti, inoltre, aree ridotte di macchia mediterranea. Tra le specie vegetali presenti sono da segnalare la periploca maggiore, l'orchidea palustre, la campanella palustre.

I due laghi, in particolare Fontanelle, rappresentano un importante zona di sosta e di svernamento dell'avifauna acquatica. Qui si riproducono, infatti, il mestolone, il succiacapre, il lodolaio. Tra la fauna stanziali vi sono lepri e conigli selvatici, volpi, tassi, rettili, anfibi.

*** Fonte: Otranto Point ***

Il Castello Aragonese






Il Castello Aragonese fu eretto dal Re di Napoli Ferdinando d'Aragona tra il 1485 ed il 1498, sfruttando i resti di un fortino preesistente di fattura Bizantina.

La sua costruzione fu conseguente all'invasione turca del 1480 che aveva distrutto l'apparato difensivo della città e che ne aveva appalesato l'esiguità ed inadeguatezza.
Il Castello ha una struttura trapezoidale con tre torri circolari per tre lati, Torre Alfonsina, Torre Ippolita e Torre Duchesca, ed uno spuntone a forma di lancia sul quarto lato. Le torri non facevano parte della vecchia struttura, ma furono aggiunte dagli Aragonesi. Anche lo spuntone che protende verso il mare detta "Punta di diamante", e' opera dei vicere' spagnoli (1587).


Il Castello presenta subito una piazzetta d'ingresso e un ballatoio superiore nel suo perimetro. Le sale superiori del castello hanno lo scopo di disorientare il nemico, le sale circolari delle torri presentano finestre con bocche di fuoco. Di particolare interesse all'interno della struttura è la sala triangolare opera dell'architetto Ciro Ciri: essa risulta costituita da un asse longitudinale che sostiene le pareti realizzate con pietre posizionate a spina di pesce.

interno del Castello.

Le sale inferiori alla piazzetta sono ricche di scorciatoie, sotterranei e vie di fuga. Lo stemma degli Angioini campeggia sopra un piombatolo. A difesa della citta' si costruirono poderose mura, fortificando quello che rimaneva delle Bizantine messe a dura prova dagli attacchi dei Turchi del 1480 (nei decenni a seguire se ne registrarono numerosi altri).

Le mura, come detto, furono intervallate da tre torri principali: Ippolita, Duchesca e Alfonsina, e, insieme al Castello, racchiudono, come uno scrigno prezioso, l'antico borgo di Otranto.

Ultimamente e' stato ristrutturato ed e' stato riportato alla luce il fossato ed il ponte levatoio.

E' da sottolineare che un celebre romanzo "Castello di Otranto" scritto nel settecento dal letterato inglese Horace Walpole ha trovato la propria ambientazione all'interno delle mura idruntine.

*** Fonte: Otranto Point ***

Monastero di San Nicola di Casole

rudere del monastero di san nicola di casole - Otranto

Origini

L'Abbazia di San Nicola di Casole viene fondata sul finire dell'XI secolo D. C. per volere del crociato Boemondo I, figlio di Roberto il Guiscardo, condottiero Normanno.

Boemondo donò il Casale di Casole ad un gruppo di Basiliani guidati da Giuseppe, che poi fu il primo Abate del monastero.

Il Nettario

L'Abate più importante di Casole è Nettario, lo stesso che fondò la scuola poetica, il cui nome di battesimo era Nicola, e che rivestì tale ruolo dal 1219 al 1235.

Esso fu protagonista di diverse missioni diplomatiche: nel 1205 e nel 1214 per conto di Papa Innocenzo III quale interprete ai cardinali che andavano a discutere a Costantinopoli sui rapporti tra Greci e Latini; nel 1223-1224, per conto di Federico II in Oriente, e nel 1232 a Roma, dal Papa, per discutere sulla validità del battesimo delle genti battezzate con il rito greco.

Nettario, gran conoscitore del greco e del latino, creò la biblioteca di Casole con le migliaia di volumi greci e latini che raccolse nei suoi viaggi in Oriente.

La scuola letteraria di Casole

rudere del monastero di san nicola di casole - Otranto

Qui, tra gli scogli più ad est d'Italia, nascono alcuni tra i primi componimenti in poesia della letteratura nazionale.

Nella Terra d'Otranto, nell'Età oscura, la lingua greca, quella parlata oltremare, nelle terre di Bisanzio, è la lingua con la quale si esprime la maggior parte della popolazione e con la quale si esprime pure la comunità italo-greca dei monaci basiliani che ha dato vita all'abbazia di Casole.

E che pertanto in lingua greca e' pure la loro produzione letteraria, quella produzione, appunto, che si puo' con giusto merito, asseriscono oggi gli studiosi, inserire nel contesto degli albori della letteratura italiana.

Dunque monaci basiliani italo-greci dettero vita nella Puglia meridionale a componimenti poetici, in lingua greca, che per i contenuti ed il respiro sono invece identici ai primi segnali di quella letteratura volgare che divenne, solo pochi decenni piu' tardi, con Dante Alighieri, nel suo massimo splendore, la letteratura italiana.

Attorno al cenobio di San Nicola di Casole fiori' dunque un gruppo di poeti in lingua greca abbastanza compatto, una specie di circolo poetico che si riconosceva nella guida di un abate, tale Nettario, proprio nello stesso giro di anni in cui si imponeva a Palermo la Scuola poetica siciliana in volgare.

Si tratta di quattro poeti salentini che con i loro scritti, sintesi di produzione sacra e profana, vengono unanimemente indicati oggi come portatori dell'Umanesimo italo-bizantino in Terra d'Otranto, una nuova corrente letteraria che si inserisce nel contesto culturale nazionale.

Enorme è la valenza della loro produzione nel contesto storico e culturale in cui operarono. Perché poetarono in greco ma erano partecipi di un'attività che pur nelle sue diversità linguistiche, il greco ed il volgare, rappresentava un'unita' culturale appena nata e che già spiccava il volo verso lidi successivamente noti.

Dei quattro poeti che formano il sodalizio due sono religiosi e due laici. Tra loro non vi furono rapporti sistematici, veri e propri contatti regolari. Solo reciproco rispetto ed intesa amichevole. Anche perché li divide per alcuni una generazione.

Il fondatore di questa sorta di circolo poetico è l'abate NETTARIO la cui opera fu proesguita da GIOVANNI GRASSO, protonotario e maestro imperiale. Figlio di Giovanni Grasso e' l'altro poeta, NICOLA d'OTRANTO. Infine GIORGIO di GALliPOli il rappresentante piu' importante della scuola poetica greca nel Salento bizantino.

E stato affermato che l'abbazia idruntina, soprattutto nel suo momento magico, il tredicesimo secolo, ha svolto la funzione di officina di istruzione così a lungo da gettare le basi di un discorso nei termini di un vero e proprio Umanesimo greco in Terra d'Otranto, una scuola in cui le lettere greche erano al centro di ogni programma di studio e di insegnamento, in un clima di riconoscimento pieno dei valori universali ed eterni della civiltà greca classica.

*** Fonte: Otranto Point ***

Megaliti




Oscuri testimoni del tempo, i megaliti custodiscono gelosamente buona parte dei misteri che li hanno accompagnati nei millenni.
Abbandonata l'idea che il fenomeno megalitico si sia espanso geograficamente a macchia d'olio partendo da un unico centro di diffusione, si e' oggi piu' propensi a ritenere che questo singolare utilizzo della pietra abbia avuto origine e si sia sviluppato autonomamente in ogni cultura. Sul reale significato e sulle funzioni sociali e rituali dei megaliti poco ci e' dato di sapere: la fantasia popolare, nel corso del tempo, li ha ammantati di un'aura di mistero e di occulto: le fiabe narrano di fate danzanti sui lastroni di copertura dei dolmen mentre, per la corte di Artu' e per Rolando il Paladino i megaliti furono punto di riferimento e desco.
Anche dopo l'avvento del Cristianesimo, i riti pagani legati ai megaliti persistettero tanto che la Chiesa, per limitarne il culto, passo' dai semplici editti "antieretico" alla loro cristianizzazione tramite incisioni di croci o altri simboli cristiani, trasformandoli in "Osanna" e quindi in luoghi di pellegrinaggio, dove a Pasqua si issavano rami di olivo, con un rito che ancora oggi e' praticato in numerose localita' salentine.
Il fenomeno megalitico risulta piuttosto diffuso in tutto il salento. L'antica terra d'Otranto conta 87 di questi monumenti di cui 21 sono dolmen e 67 i menhir. L'area di maggior concentrazione coincide col comune di Giurdignano (a pochi km da Otranto) ove sono presenti 7 dolmen e 14 menhir. Qui li si incontra dappertutto, dall'aperta campagna sino alle vie, alle piazze del paese e addirittura risulta conficcati nell'atrio di private abitazioni.

Muri a secco










Il Salento è una terra carsica bruciata dal sole che abbonda di materiale pietroso.
Assoggettare questa terra è stato per i contadini un compito durissimo
Per renderla coltivabile è stato necessario ”ripulirla” dalle pietre che sono state accumulate da formare cosi' le "specchie" salentine o messe ai bordi dei campi, fungendo come limite del campo stesso.
Il cumulo ha poi assunto un aspetto definito con forma e dimensione, diventando un elemento caratteristico della campagna salentina, al punto da richiedere una persona specializzata nella sua costruzione, “lu paritaru”.
La tecnica costruttiva è piuttosto semplice; si realizza una base composta di due file parallele di pietre grosse e con forma quasi regolare. Su questa base saranno sistemate le altre pietre cercando di giustapporre le facce in modo da dare una certa omogeneità all’insieme, riempiendo il più possibile gli spazi vuoti.
Una volta raggiunta l’altezza desiderata, la copertura veniva realizzata con lastre di pietra più regolare.


Alcuni muri hanno nella parte alta un elemento caratteristico denominato paralupi.
Si tratta di un cordolo fatto con pietre piatte che sporgono verso l’esterno, per impedire agli animali selvaggi di arrampicarsi e penetrare nei recinti che custodivano conigli e galline.
Il muro a secco ha assolto non solo la funzione di delimitare le proprietà (chiusure), ma anche di difesa del territorio, basti pensare alle specchie per l’avvistamento o ai muri di fortificazione d’epoca messapica, realizzati con blocchi monolitici enormi e lineari ed anche per fornire un impedimento fisico all'intrusione nei terreni di uomini o animali.
*** Fonte: Otranto Point ***

Le cripte bizantine in Terra d'Otranto






Nella Terra d'Otranto il credo religioso artisticamente si e' variamente manifestato a seconda delle epoche storiche.




Così l'eta' preistorica ciò si materializza attraverso i dolmen ed i menhir, nell'era cristiana le strutture religiose trovano uno sviluppo esattamente opposto ed simmetrico: lo scavo in profondità e la costruzione in sopraelevazione.
Entrambe le soluzioni risentono di una cultura radicata nel tempo, ovvero l'ipogeo preistorico, evolutosi nelle forme messapico-magnogreche ed il tempio pagano della civilta' greco-romana. La storia delle cripte eremitiche inizia nell'VIII sec., a seguito della lotta iconoclasta.
L'imperatore di Bisanzio Leone III l'Isaurico (717 - 741) decide il divieto delle rappresentanzioni sacre nei luoghi di culto e la distruzione di quelle esistenti. Una moltitudine di anacoreti si riverso' nell'Italia meridionale ed nel Salento in particolare che rappresentava un luogo ideale per continuare a pregare in quanto gli usi i costumi ed anche la lingua era congeniale e molto affini a quelli di oltreadriatico.
Conducendo una vita ascetica e contemplativa, gli eremiti occuparono dapprima le grotte presenti lungo le coste, per adibire poi a chiesette e dormitori le grotte naturali disseminate nell'entroterra. Si sviluppa così una vera e propria civilità in rupe (da qui deriva le denominazione di civilità rupestre) che troverà il proprio culmine intorno all'anno mille.
La valle delle Memorie costituiva uno dei luoghi prediletti dagli anacoreti che qui crearono numerose nicche tra la roccia tufacea. La manifestazione più significativa di questa cultura a Otranto è la cripta di San Pietro.
Mentre nei dintorni le manifestazioni artistiche piu' significative le ritroviamo a Poggiardo e a Vaste con Santa Maria degli Angeli e i SS. Stefani, a Muro Leccese con la cripta di Santa Marina, a Giurdignano con Cripta San Salvatore, quindi Carpignano Salentino con la cripta delle Sante Marina e Cristina (qui sono presenti alcuni affrechi datati il 959 come il Cristo Pantocratore e l'Annunciazione e firmati da Teofilato), Ortelle, Sanarica, San Cassiano, Specchia, nella cripta di Favana in Veglie..




Cripta San Salvatore a Giurdignano






La cripta è ubicata a Giurdignano (circa 5 km da Otranto) e rappresenta una testimonianza di epoca bizantina molto interessante e dal punto di vista storico e da quello artistico.
Dalla piazza della città si percorre la strada a senso unico che porta a Uggiano e Minervino. Dopo circa 300 metri ci troviamo di fronte ad un bivio e frontalmente avremo la cripta.
Alla fine degli anni '80, durante un intervento di restauro, vi fu l'imprevisto rinvenimento di numerose sepolture, tutte ormai violate e prive di resti mortali e/o corredi funerali di qualsiasi tipo, costituente una vera necropoli, scavata nel banco tufaceo. Tale rinvenimento e l'assenza di sufficienti risorse economiche imposero la scelta di provvedere ad una copertura provvisoria per proteggere dagli agenti atmosferici il banco tufaceo della cripta e della necropoli.
La cripta e' ricavata dalla roccia e si sviluppa sotto il piano terraneo stradale. La pianta è a tre navate divise da quattro pilastri che terminano con tre absidi. La zona absidale e' sopraelevata e presenta un iconostasi. L’orientamento è secondo l’asse est ovest con gli absidi rivolti ad oriente.
La cripta si sviluppa secondo lo schema triabsidale don orintamento a est. L'elemento iconostatico e' in pietra, presumibilmente afrescato in origine. Su tutte le pareti sono presenti tracce di affreschi che fanno ritenere che la cripta fosse particolarmente ricca di icone religiose.


La chiesa e' divisa in tre navate ed e' presente un gradino-sedile.


Nell’abside centrale è presente un affresco raffigurante la Madonna con due angeli ai lati. Sono presenti due colonne che dividono la struttura in tre navate. Le volte sono scolpite in maniera tale da simulare una cupola, ora un soffitto in legno a cassettoni. Tutti gli elementi architettonici non hanno nessuna funzione strutturale in quanto le caratteristiche della pietra calcarea fanno si' che la struttura stia perfettamente in piedi senza di esse.
La cripta è stata concepita in modo da creare particolari effetti di luce al tramonto. Difatti il sole penetra nella struttura illuminando l’altare centrale creando effetti particolarmente suggestivi.
Nella parte soprastante la cripta, nella zona esterna poco al di sopra del manto stradale, cica un decennio fa sono state rinvenute antichissime tombe.
*** Fonte: Otranto Point ***