Otranto ha vissuto nel 1480 uno degli eventi più drammatici della sua storia: la presa della città da parte dell’esercito Turco con il successivo martirio di 800 suoi cittadini.
La storiografia moderna ha inspiegabilmente ignorato gli eventi del 1480 o l’ha relegati al livello di semplici scaramucce piratesche. In realtà ad Otranto si è consumato uno degli scontri ed eccidi religiosi più cruenti che la storia ricordi e lo stesso disegno che aveva portato l’impero Turco alla presa della città era tutt’altro che una piccola angheria ma rientrava in un più vasto disegno di conquista della penisola e della sede del Papato.
L’impero Turco, sotto la guida del sultano Maometto II Fatih (il conquistatore) si era mosso alla conquista dell’Impero Bizantino provocandone, dopo più di 1000 anni di storia, la definitiva caduta nel 1453. L’avvenimento aveva suscitato profondo scalpore e sconcerto negli ambienti diplomatici europei e nella sede del papato in particolare. Infatti era venuto meno l’ultimo baluardo cristiano in oriente ed ora il pericolo musulmano veniva sentito molto più vicino.
Lo stesso sultano Maometto II non nascose mai propri propositi di espansione che lo avrebbero voluto conquistatore dell’occidente con il segreto sogno di portare i propri cavalli in Vaticano. Per raggiungere il suo scopo attuò una manovra a tenaglia: da un lato risalì lungo la penisola balcanica fino a giungere ad insidiare prima i possedimenti di Venezia poi la città vera e propria, e dall’altro partendo dal mediterraneo attraverso l’Egeo per giungere quindi in Italia attraverso la Puglia.
Il turco ingaggiò una lunga guerra con la Repubblica della Serenissima che iniziata nel 1463 si protrasse sino al 1478 allorquando Venezia dopo ripetute sconfitte, dovette cedere nuovamente militarmente nei pressi di Udine e vedendo minacciare la propria indipendenza fu costretta alla pace.
Il turco si concentrò quindi sulla seconda direttrice della tenaglia, sul versante meridionale progettando uno sbarco nel territorio pugliese. Nella primavera del 1480 cominciò ad ammassare nel porto di Valona, a soli 70 km da Otranto, una grande quantità di uomini e navi. La scelta del periodo per l’attacco non fu casuale. Infatti il contesto politico in Italia era dominato dalle continue guerre tra i vari principi. In particolare il Re di Napoli Ferdinando d’Aragona aveva portato in quel momento il proprio esercito in Toscana ponendo sotto assedio la città di Siena e lasciando militarmente sguarnita la parte orientale del proprio regno.
Venezia, stretta alleata di Firenze, malgrado le sconfitte subite ad opera dei turchi continuava ad avere il predominio sul mare e nessuno sbarco in Italia poteva avvenire senza la sua accondiscenza. Tutto l’Adriatico poteva dirsi come una specie di Golfo di Venezia e la linea Otranto – Valona ne veniva a costituire il limite meridionale.
Seguendo una sapiente opera diplomatica i turchi seppero avere il placet Veneziano ad uno sbarco in Puglia. In questo modo i veneti speravano di distogliere il Re di Napoli dalle operazioni belliche contro Firenze. Una politica di così corto respiro contrastava con le tradizioni diplomatiche Veneziane; al nemico Napoletano infatti si sarebbe venuto a sostituire con uno più grande e molto più temibile: quello Turco islamico. Ma a prevalere fu il forte risentimento nutrito contro Ferdinando I d’Aragona testimoniato, tra l’altro, anche da un passo di Nicolò Machiavelli che ricordando gli eventi scrive «Ma Iddio fece nascere un accidente insperato, il quale dette al Re e al Papa maggiori pensieri che quelli di Toscana».
Le operazioni militari nel porto di Valona non passarono inosservate ma i Turchi le seppero camuffare e depistare facendo prima credere che l’obiettivo fosse Rodi o Ragusa, poi sciogliendo le truppe mascherandone così un abbandono dell’operazione. Lo stesso Re di Napoli sottovalutò il pericolo preferendo concentrare le proprie truppe in Toscana e lasciando a presidio della città di Otranto soli 400 soldati ed il comando a due capitani Francesco Zurlo e Giovanni Antonio Delli Falconi.
La mattina del 28 luglio del 1480 una vista terrificante si presentò all’orizzonte di Otranto: una flotta di 150 navi con 18.000 uomini a bordo si muoveva verso la città. La mole delle truppe che Maometto II riuscì a coinvolgere è da ritenersi di tutto rispetto specie in considerazione delle numerose altre operazioni belliche che il sultano aveva in corso. Tutto ciò da il segno del valore attribuito dal sultano all’operazione. Anche la meta, Otranto, fu scelta accuratamente sebbene alcuni storici ritengono che la destinazione originaria fosse Brindisi poi cambiata all’ultimo momento a causa di venti contrari.
Molti autori ritengono invece che il vero obiettivo fosse proprio Otranto in quanto meno difesa e dall’esercito e dalle proprie mura, meno raggiungibile da eventuali rinforzi da Napoli oltre che per la considerazione che pare poco verosimile l’ipotesi di venti contrari, sia per il periodo, sia per il fatto che la flotta giunse in maniera compatta a Otranto e non dispersa per difficoltà meteomarine.
Le truppe sbarcarono a nord di Otranto in una zona chiamata Frassanito (anche una spiaggia ha poi preso il nome in ricordo dell’evento: Baia dei Turchi) e subito si diedero al saccheggio dei Casali circostanti creandosi una zona di sicurezza. Mossero quindi verso la città ove fecero razzia del borgo poco fuori le mura.
Secondo alcuni autori Otranto all’epoca contava 22.000 abitanti ma altre fonti più accreditate parlano invece di 6.000 Otrantini. La città era dedita all’agricoltura e ad alla pesca ed in parte ai traffici che passavano per il porto.
I tempi dei fasti legati alla seconda dominazione Bizantina erano ormai passati. Otranto infatti era stata per secoli un vivace centro economico e culturale oltre che il fiore all’occhiello del militarismo di Bisanzio. Nella città e nelle campagne rifiorirono infatti le arti e le lettere ed il principale centro di irradiazione culturale fu il Monastero Basiliano di San Nicola di Casole che costituiva una vera e propria università fornita di una biblioteca vastissima, la più grande del mezzogiorno, ed uno scriptorium per la copiatura dei testi in greco e latino. La caduta dell’Impero Bizantino aveva fatto passare Otranto improvvisamente da centro e ponte con l’oriente ad estrema periferia d’Europa.
Al comando delle truppe turche vi era Achmet Pascià già noto per la sua crudeltà ed efferatezza. Mandò un emissario chiedendo la resa della città ponendo condizioni piuttosto vantaggiose. Il consiglio dei vecchi rifiutò le richieste turche e mandò un emissario al Re di Napoli per informarlo sul pericolo incombente sulla città e sul suo Regno chiedendo un pronto intervento che invece non arriverà mai.
All’incalzare degli eventi molti dei soldati posti a presidio della città si calarono nottetempo con funi dalle mura cittadine, e si diedero a precipitosa fuga. A difendere Otranto rimasero quindi solo i suoi abitanti, per lo più contadini e pescatori che poco o nulla conoscevano dell’arte della guerra ma che avevano in cuore un orgoglio ed un coraggio che il turco non riuscirà mai a domare.
Achmet Pascià ordinò l’assedio e fece catapultare all’interno della città una mole enorme di palle di granito che pur arrecando notevoli danni alla struttura della città non scalfirono la resistenza Otrantina. Ancor oggi camminando per i vicoli del centro storico non è difficile incontrare queste bombarde spesso poste ad ornamento di ingressi e portoni.
Dopo due settimane l’esercito turco riuscì ad aprire tra le mura un varco da cui penetrò. Gli otrantini riuscirono però a respingerli ricacciando fuori la città l’invasore. Nulla poterono invece al secondo tentativo turco. L’esercito riuscì a dilagare per la città compiendo atti di grande efferatezza e crudeltà. La spada turca passava chiunque incontrasse per la strada, neanche vecchi, donne e bambini furono risparmiati. Le vie erano colme di cadaveri e ovunque scorrevano rivoli di sangue. Alcuni cittadini cercarono rifugio tra le mura della cattedrale ove l’anziano arcivescovo Stefano Pendinelli era intento a celebrare la messa. Il portone della cattedrale crollò sotto l’impeto turco ed anche qui vi compì una strage. All’invito turco fatto all’arcivescovo a presentarsi così rispose: "sono il pastore a cui indegnamente è affidato questo popolo di Cristo". A questa frase seguì un colpo di scimitarra con la quale gli fu mozzata la testa.
Solo a questo punto sembrò che le violenze si dovessero placare. Ma in realtà i pochi cittadini rimasti dovevano subire ancora un ulteriore crudeltà. La mattina del 14 agosto Achmet Pascià ordinò che tutti i maschi dai 15 anni in poi fossero accompagnati sul colle della Minerva poco fuori la città. Qui vi giunsero in 800 e fu chiesto loro di abbondare il credo cattolico e di abbracciare il Corano per avere salva la vita. A nome degli ottocento parlò Antonio Pezzulla il quale disse “se fino ad oggi abbiamo lottato per la nostra patria ora dinanzi ci resta di lottare per la nostra fede cristiana” (Per difension della padria... e per Christo nostro Signore). Un coro di consenso si levò dagli ottocento.
Achmet ordinò la decapitazione ed il primo fu proprio da Antonio Pezzulla che da allora fu ricordato come il “Primaldo”. I racconti dell’epoca vogliono che il busto del Primaldo pur privo di testa non ne volle sapere di andare giù malgrado i maldestri tentativi dei soldati turchi. Il corpo cadde da solo quando l’ultimo sacrificio otrantino fù compiuto.
Girava tra gli ottocento, poco prima della decapitazione, un interprete turco che con in mano il corano tentava per l’ultima volta l’otrantino all’apostasia per avere salva la vita. Così dice il Laggetto “un Turco andava intorno alli Christiani li quali andavano legati, con una tavoletta in mano descritta con certi caratteri turcheschi; e per l'iniquo interpetre si diceva: chi vuol credere qua, li sarà fatta salva la vita, altrimente sarà ucciso»". Ma nessuno degli ottocento cedette alla tentazione ma anzi giunse con serenità al momento del sacrificio. Alcune fonti parlano di volti dei martiri con un sorriso contenti per il sacrificio offerto al Dio Cristiano.
Achmet dopo le prime decapitazioni offrì agli Otrantini di avere salva la vita mantenendo la propria fede pagando 20 sesterzi una cifra tutto sommato accettabile ma solo in 20 accettarono.
Papa Sisto IV impressionato dagli avvenimenti in Puglia faceva pressioni sui principi italiani affinché si coalizzassero contro il pericolo Turco ed organizzassero un esercito di liberazione di Otranto. A tal proposito emanò nel settembre una bolla “Non solum Italiane” e cercò attraverso nuove tasse di finanziare l’operazione militare. Ma i principi tergiversavano ed i turchi aveva tempi per mettere mano al sistema difensivo di Otranto potenziandolo. Inoltre continuarono con i saccheggi giungendo ad assediare città come Lecce, Nardò spingendosi con più spedizioni sino alla zona Garganica. La cattedrale della città fu adibita a stalla per i cavalli mentre il glorioso Monastero di San Nicola di Casole fu distrutto, i monaci basiliani uccisi ed i preziosissimi testi bruciati.
Nel frattempo Maometto II sapute le crudeltà commesse dal Pascià lo richiamò in patria ove fu rinchiuso in galera e dopo qualche anno vi trovò la morte.
Intanto gli stati italiani riuscivano ad unirsi, senza però l’appoggio di Venezia ed organizzarono un esercito di liberazione con al comando il duca di Alfonso d’Aragona figlio di Ferdinando Re di Napoli. Giunto nel Salento nella primavera del 1481 si accampò nel Castello di Roca a pochi km a nord di Otranto. I turchi di sovente inviavano spie per controllare le operazioni degli avversari.
Ma nel frattempo una improvvisa notizia irruppe nello scenario: Maometto II era morto ed in Turchia era scoppiata la guerra civile tra i figli del sultano per la successione. La notizia fu presa con un grosso respiro di sollievo da tutte le corti Europee e dal Vaticano, le campane risuonarono a festa un po’ ovunque.
Pare che in Anatolia Maometto II, prima della morte, avesse raccolto uno sterminato esercito di 300.000 uomini col quale aveva in programma di muoversi alla conquista dell’Italia utilizzando proprio Otranto come punto di partenza e realizzare il proposito di islamizzare l’occidente.
Le truppe turche a Otranto rimasero quindi isolate e questo fu il momento utilizzato da Alfonso d’Aragona per cingere d’assedio la città e liberarla dall’invasore. I turchi in realtà opposero scarsa resistenza e accettarono di imbarcarsi per la madre patria. Circa un migliaio rimasero nel salento e furono posti al servizio del Duca Napoletano.
Otranto fu quindi liberata ma dei suoi abitanti ne rimasero ben pochi. Il duca ordinò portare in città i resti degli ottocento ancora posti sul colle della Minerva. La leggenda vuole che i corpi furono ritrovati miracolosamente incorrotti. I resti sono tutt’oggi custoditi in tre grandi teche nella cripta posta nella navata destra della cattedrale. Un‘altra parte è custodita nella chiesa di Santa Caterina in Formello a Napoli.
Alfonso D’Aragona attraverso il grande esperto di architettura militare Ciro Ciri fece rifare il sistema difensivo di Otranto erigendo le poderose mura che ancor oggi si ammirano. Le due torri che danno accesso alla città portano il suo nome ed una terza venne chiamata DUCHESCA probabilmente in onore a sua moglie.
Otranto dovette subire nei secoli a venire nuovi assalti turchi ma anche grazie alle nuove difese gli attacchi verranno sempre respinti.
Una moderna rilettura dei fatti del XV fanno comprendere come il sacrificio degli Otrantini abbia salvato le sorti dell’Italia. Le difficoltà opposte all’esercito turco ne fecero rallentare pesantemente le operazioni militari consentendo alle altre città del Salento in primis Lecce e Brindisi di prepararsi alla propria difesa e di reggere ai successivi assalti turchi.
La storia odierna deve molto al sacrificio degli 800 martiri.
*** Fonte: Otranto Point ***
4 commenti:
Caro amico Luciano, hai tre nel mio blog che mi piace per la raccolta premi di condividere con voi.
Fraterno abbraccio.
Caro amico Luciano, hai tre nel mio blog che mi piace per la raccolta premi di condividere con voi.
Fraterno abbraccio.
E via si ricomincia!
ciao Lu.
Eh si cercherò piano... piano ... di ricominciare.
Grazie
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